WEEKEND IN KAYAK ALL’ISOLA D’ELBA
L’azzurro luminoso della baia di Marina di Campo rasserenava l’animo nella totale tranquillità che emanava dalla spiaggia deserta e motivava i kayaker a prepararsi in fretta per la navigazione. L’aria invernale sembrava quasi tiepida per chi arrivava dal Nord Italia, avvezzo a temperature molto più rigide. I profumi marini risultavano stemperati e solo un vago sentore di posidonia asciutta penetrava le narici. La sabbia grossolana scricchiolava sotto le suole dei calzari, mentre gli uomini andavano e venivano dalle auto con kayak e materiale per la navigazione di due giorni.
Il gruppo di naviganti, raccolto dall’instancabile maestro Giuseppe Debernardi, si stava radunando per un motivo insolito: partecipare ad una sessione d’esame ISKGA, prestigiosa organizzazione inglese, per guide in kayak da mare. Solo tre erano i candidati, due i maestri esaminatori e gli altri cinque rivestivano il ruolo di clienti delle guide.
I kayak furono riempiti fino al limite, con cibo, tende, sacchi a pelo e altro, come se si stesse partendo per una spedizione di più giorni e non di una sola notte. In realtà non vi è molta differenza, nel momento in cui si decide di pernottare all’addiaccio in periodo invernale, non puoi farti mancare nulla. Le spiagge sono deserte, non ci sono i chioschetti estivi, i campeggi sono chiusi e i negozi dei paesi seguono orari rigidi. In più la navigazione sarebbe avvenuta lungo una parte di costa poco abitata.
L’ingresso in acqua non poteva essere più semplice, acqua tiepida, intorno ai quindici gradi, assenza d’onda e mare basso e sabbioso. La pagaiata sembrava una semplice formalità.
Ma…i cinque “clienti” dovevano simulare una serie di incidenti, praticamente tutti i potenziali incidenti che potrebbero affliggere la navigazione in mare.
A poche pagaiate dalla partenza un kayaker si è rovesciato e ha simulato la necessità di essere soccorso.
L’esaminato di turno, è accorso, ha valutato ed è intervenuto, cercando di applicare il protocollo richiesto. Pochi minuti dopo questa fase di riscaldamento un altro simulatore ha iniziato ad urlare in modo incontrollato, strillando che un’ape era penetrata nella giacca stagna e, essendo allergico, stava per avere uno shock anafilattico, brillantemente simulato con finta perdita di coscienza.
Un momento di smarrimento aveva preso chi non era ancora stato allertato, comprendendo che la giornata sarebbe stata molto più lunga del prevedibile.
Tra un incidente e l’altro, tra un cambio di guide e l’altro, i kayak scivolavano su un mare incantevole, dai colori blu cobalto così intensi da penetrare tra le pieghe dell’anima, come un balsamo curativo. È così difficile descrivere l’attrattiva esercitata da quella colorazione che i subacquei definiscono semplicemente come “immersione nel blu”, definizione pulita, senza altre aggiunte.
La navigazione nel blu assume tutti i contorni dell’avventura e giustifica le ore di allenamento, di preparazione e i soldi spesi in corsi qualificati e attrezzature costose, ma necessarie per la sicurezza. Avventura in mare significa percorrere nuove coste o, spesso, ripetere le coste conosciute a memoria, ma sempre con lo spirito e la curiosità del fanciullo.
Significa però essersi addestrati con istruttori, con maestri e da soli, per poter affrontare varie tipologie di tempo atmosferico, vento e onde con ragionevole sicurezza.
Ripete sempre Andrea, il responsabile rafting della UISP. Ha imparato da Antonello, uno dei migliori nel campo.
È vero avventura non significa affrontare l’ignoto a caso, ma essere preparati da persone competenti e da allenamenti duri. Rasentare le rocce, saltare sulle rocce sfiorandole con la chiglia, sfruttando l’onda montante, incunearsi in grotte o passaggi stretti, il cosiddetto gioco nei “giardini di roccia”, diventa divertente solo dopo un duro lavoro.
Un lavoro che si ottiene grazie alla frequenza di corsi tenuti da maestri seri e allenamenti tenuti da istruttori competenti. In mare, troppo spesso ci si affida all’improvvisazione. L’acqua che non appare vorticosa, come quella dei fiumi, trae in inganno molti, soprattutto in estate, che affittano natanti sulle spiagge e si avventurano in luoghi potenzialmente rischiosi. Più d’una volta ognuno dei pagaiatori presenti all’uscita ha tratto in salvo sprovveduti che si erano ficcati in situazioni critiche, per semplice ignoranza e imprudenza.
Una volta doppiato il promontorio a Ovest di Marina di Campo, la costa appariva magnificamente alta, con parti ripide del granito tipico dell’Elba, con grossi cristalli di feldspato, prismi netti in una matrice più fine dai colori bruni e rosati. La scogliera precipita nel mare che è subito profondo. Spesso appare senza possibilità di approdo, ma restituisce un senso di completezza selvaggia necessario a chi vive nella modernità e nel caos delle città industriali.
Giunta l’ora di pranzo tutti erano stati impegnati nella simulazione, o ribaltandosi in mare, o soccorrendo come aiuti, o trainando i malcapitati. Un numero imprecisato di volte è stata simulata la chiamata alla guardia costiera e sono stati allertati i soccorsi a terra. Un’attività assolutamente interessante e molto istruttiva per tutti.
Dove attraccare per mangiare?
Sulla scogliera, ovviamente. Trovata una fenditura improbabile nella roccia, ma sufficiente a mantenere un paio di kayak in sicurezza, ognuno si è tuffato, legandosi al proprio kayak con la cima di traino, ha nuotato fino a un gradino sulla roccia battuto dalle onde, ha contribuito insieme alle guide a trascinare il kayak in posizione di sicurezza e si è finalmente dedicato al pranzo. Pochi di noi hanno pranzato con avidità. Tutti avevamo capito quanta energia avremmo dovuto spendere in seguito e nessuno voleva fare la figura di quello che doveva interrompere la navigazione per necessità reali, di vario genere, anche le più prosaiche, ovviamente.
Quanta bellezza esprime lo stare a picco su una scogliera riscaldata dal sole invernale, mentre si contempla il mare che si distende a perdita d’occhio, luccicante di riflessi gialli e incandescenti!
La scrittura cerca invano di descrivere le emozioni che ognuno di noi aveva, pur preso dai ruoli rivestiti in quella giornata particolare. Come è possibile traferire su carta i sentimenti che si insinuano profondamente nell’animo di ogni appassionato di mare, quando resta attonito di fronte alla magnificenza della natura?
L’ingresso in acqua fu interessante quanto lo sbarco. Un allontanamento del kayak dalla scogliera, un tuffo e l’aiuto delle guide per rientrare nel mezzo nautico. La navigazione pomeridiana, fino alla spiaggia della Palombaia, ha permesso di giocare nei giardini di roccia, sempre sotto le scogliere granitiche. Alla Palombaia la sosta è stata più lunga, in attesa del tramonto, per poter effettuare una navigazione notturna, o, quantomeno, al buio.
Per navigare in sicurezza al buio, è necessaria una ricca e particolareggiata preparazione con luci di vario genere e ruoli da assegnare e seguire con serietà.
Avventurarsi nel mare scuro significa scegliere dei punti di orientamento. Man mano che la luce si affievolisce, l’orizzonte diventa una sagoma sempre meno distinguibile.
Allora comprendi la navigazione dei marinai antichi e scegli una stella di riferimento, come nei versi di Tennyson:
"Come, my friends,
'Tis not too late to seek a newer world.
Push off, and sitting well in order smite
The sounding furrows; for my purpose holds
To sail beyond the sunset, and the baths
Of all the western stars, until I die."
(Ulysses – Alfred Lord Tennyson)
Quale grande avventura solcare il mare buio come la pece, direzionandosi con un piccolo e tremolante puntino luminoso nel cielo, un gruppo unito, tutti compatti, tutti addestrati e… vai di ricerca al buio. Insomma una giornata intensa, magnifica e, ripeto, istruttiva.
Finalmente, intorno alle sette di sera, lo sbarco a Cala dell’Alga, mare calmo, atterraggio tranquillo. Ricoperta da uno strato di posidonia spesso oltre un metro, perfetto per montare le tende e trovarsi su un materasso naturale morbido e compatto al tempo stesso. Complice la temperatura, scesa di molto, e il periodo invernale senza insetti, lo strato d’erba marina odorava di buono, quasi un odore resinoso, ben diverso da quello estivo di erba marcia.
Un allegro fuoco, ben controllato, una pasta con sugo di funghi arricchito di spezie e altre sostanze appetitose, la compagnia allegra e ben assortita è stata la ricetta di una serata perfetta sotto le stelle. Un cielo invernale che, senza inquinamento luminoso, appariva in tutto lo splendore della Via Lattea, andando a scovare profonde reminiscenze estive quando, in Alto Lario, ma anche al mare, i genitori insegnavano ai figli a restare incantati di fronte alla possanza di quella miriade di luci antiche come l’Universo.
Il mattino, ci siamo alzati di buonora, come al solito. Il desiderio di navigare e i cambi di temperatura e di luminosità, tendono a svegliare anche il più pigro dei pagaiatori. L’alba è apparsa come una lama perlacea subito tinta di rosa e arancio, lontana sull’orizzonte. La Corsica ha fatto mostra di sé, possente in lontananza.
Fortunatamente il mare si è alzato, finalmente abbiamo potuto giocare con le onde, sulla via del ritorno. Lungo una scogliera sconosciuta, perché costeggiata al buio, abbiamo potuto scivolare rasente rocce calcaree, nere e grigiastre, infilarci in grotte e in passaggi fra ripide pareti.
Una gioia e un divertimento assoluti, anche perché, ogni tre per due dovevamo ribaltarci, anche in simultanea e farci soccorrere, essere trainati o trainare.
Una sosta a Fetovaia, magnifica nella desolazione invernale, per permettere alle aspiranti guide di essere valutate nel surf, e via a ritroso, verso lo sbarco.
Ogni tanto qualche pesce saltava fuori dall’acqua, a volte banchi di aguglie e pesci piccoli inseguiti da grossi predatori, altre volte qualche raro tonfo o un baleno improvviso, ci ricordava che il Mar tirreno è popolato. Sono affiorati, così, ricordi dell’Elba durante l’estate 2020, dove con la maschera apprezzavamo la desolazione assoluta, pochissimi pesci, tranne nella zona protetta a Porto Ferraio.
Un contrasto impressionante rispetto ai ricordi di un’altra estate, in barca a vela, di oltre venticinque anni fa dove i fondali brulicavano di pesci e altre meraviglie. Abbiamo ridotto il futuro dei nostri mari a zone protette, stiamo cercando di addomesticare la natura selvaggia. Queste zone, sono assolutamente necessarie e rappresentano un punto di svolta, una buona notizia per il futuro.
Ma dobbiamo imparare a rispettare il mare praticando solo pesca sostenibile. La bontà dei pesci di paranza è un ricordo lontano, ma indelebile nella memoria. Lasciamo i grandi predatori al loro posto. Limitiamo le nostre ricerche di lussi inutili, come la degustazione di frammenti di sushi pregiatissimo.
È giunto il momento di tornare pietosi e umili e riaprire gli occhi alla meraviglia.La stessa meraviglia che si mostra agli occhi del kayaker, quando, in gruppo o in solitudine, pagaia in inverno sull’acqua che pare quella dei nostri antenati.
Articolo scritto da : Fabio Calvino
Laureato in geologia, insegno dal 1995. Sono formatore di insegnanti certificato e riconosciuto dal MIM. Pagaio dal 1993, sono tecnico educatore di kayak da mare in UISP, formatore per la UISP, appassionato di acqua da sempre, di sport di pagaia in ogni loro forma.
Mi piacerebbe diventare una guida riconosciuta in kayak da mare. Scrivo libri di testo scientifici dal 2000 per varie case editrici, attualmente per Principato, mi piacerebbe pubblicare un testo con le mie storie di canoa e montagna per ampliare la coscienza sulla salvaguardia ambientale.