LE ORIGINI DEL KAYAK
Quando si parla del nostro sport non possiamo fare a meno di andare alle sue origini, che sono anche le origini della navigazione.
Nella preistoria profonda, Homo sapiens antico compariva sulla Terra, secondo le versioni maggiormente accreditate, in Sud Africa, davanti all’attuale Città del Capo, in riva all’Oceano.
In quel promontorio, l’incontro di due correnti oceaniche, una atlantica e una indiana, sono tutt’ora il fattore scatenante della cosiddetta “corsa delle sardine”, cioè l’arrivo di milioni di sardine vicino alle coste (https://siviaggia.it/varie/corsa-delle-sardine/365044/).
Questa migrazione dal largo verso la spiaggia provoca l’arrivo di molti predatori, ma sarebbe stata anche l’origine della nostra specie.
I nostri antenati, consumando sardine e altri prodotti del mare, come crostacei e molluschi, avrebbero assunto un quantitativo di fosforo così importante da far sviluppare il nostro cervello e, in pratica, dare una spinta evolutiva diventando quello che siamo noi.
Cosa c’entra tutto questo con il kayak?
Forse che i nostri antenati abbiano iniziato da subito a navigare per mare?
Per mare no, ma hanno cominciato a risalire fino all’Etiopia e allo Stretto di Aden, lungo la “rift valley” centro africana seguendo l’istinto di esplorazione che ci
contraddistingue.
In quei territori si sono imbattuti nei grandi laghi africani, ricchissimi di pesci, e hanno cominciato a navigare su imbarcazioni di legno e di giunchi.
Ma il richiamo dell’esplorazione non era ancora sopito.
Dall’Etiopia una parte della popolazione si è spinta verso il Sinai a piedi, ma altri, spinti dalla necessità, il clima era cambiato e quella parte d’Africa era diventata inospitale, hanno attraversato lo Stretto di Aden con le stesse semplici imbarcazioni e zattere di legni e giunchi utilizzate nei laghi, giungendo nell’attuale Yemen.
Da lì è partita la colonizzazione di tutti i continenti.
Un volo nell’Artico.
Sappiamo che il kayak, nella forma classica, deriva dalle imbarcazioni degli Inuit e degli aleutini, cioè le popolazioni che abitano l’Artico da migliaia di anni, diretti discendenti dei popoli che sono migrati intorno all’ultima glaciazione dall’Asia fino all’America.
Per prima cosa stupisce che questi popoli abbiano voluto adattarsi a vivere in condizioni così estreme, resta un nostro mistero di specie la volontà di adattamento in ambienti assolutamente inospitali. Hanno spesso patito la fame e periodi di carestia così intensi da portare alla morte di interi nuclei familiari, ciononostante hanno considerato e considerano tutt’ora quelle distese ghiacciate come loro e come dono della Madre Terra e origine delle proprie radici.
La soluzione ad un problema tecnico.
Se d’inverno è funzionale muoversi in slitta e attraversare da una parte all’altra l’Oceano Artico scivolando sulla banchisa, l’estate, lungo le coste, la situazione si complica, a causa dello scioglimento e della frammentazione di parte dei ghiacci della banchisa stessa.
Inoltre poter pescare lontano dalla riva e cacciare grossi mammiferi come foche, narvali e anche balene, costituiva un’attrattiva assolutamente irrinunciabile.
Come sia venuta l’idea del kayak, con la forma tipica a punta allungata, con un pozzetto circolare largo poco
più del bacino del kayaker, adatto al trasporto di cose, ma anche di persone, non si sa. Gli Inuit utilizzavano anche un’imbarcazione a remi, con numerosi vogatori, una sorta di gozzo o di lancia, però il kayak era l’imbarcazione principe.
La struttura delle barche fatta di assi di legno e/o ossa di balena ricoperte di pelle è stata dettata dalla disponibilità di questi materiali: troppo lontani i boschi di betulla per poter costruire kayak di corteccia o di legno.
Le imbarcazioni di pelle hanno anche, a mio parere, una elasticità e robustezza maggiori. La punta allungata è un’esigenza dettata dal ghiaccio.
Provate a vedere il documentario Nanook of the North (1922)
(di cui metto il link https://youtu.be/1YurPw4euzM?si=io-
SsNXVAyzKUUuX) sulla vita di un tipico Inuit. Quando viaggia tra i ghiacci si capisce la necessità di avere una punta allungata, il kayak, in un eventuale impatto, tenderà a salire sul pack, anziché urtare violentemente, cosa che avverrebbe con una punta a lama verticale. Una piccola parentesi, questo documentario è stato il primo vero documentario nella storia del cinema, data la lunghezza e la complessità della pellicola.
Quindi il kayak è un’imbarcazione agile, leggera, veloce e riportabile in posizione in caso di rovesciamento, con la manovra del roll: gli Inuit non sapevano nuotare. ùOltre a una numerosa tipologia di roll, hanno
imparato a navigare in flottiglia, rendendo sociale un tipo di imbarcazione singola e indipendente.
Una pala a portanza.
La pagaia allungata, a pale parallele deriva,
sempre a mio parere, dalla necessità che diventa maestra di vita.
Cosa trovo nell’Artico?
Legno marino, che ha viaggiato in acqua,
prevalentemente rami, tronchi sottili e le immancabili ossa di balena. La lavorazione mostra una genialità che fa capire quanto la mente umana sia da
sempre tecnologica: una pala che funziona come un’ala d’aereo, a portanza! L’uomo occidentale ha imparato questa modalità dopo millenni, gli Inuit l’hanno applicata millenni di anni fa, a dispetto di quanto siano stati considerati semplici e poveri uomini preistorici.
La pagaiata è silenziosa.
Inoltre la pagaiata deve essere silenziosa, la pagaia deve entrare in acqua con un angolo tale da imprimere potenza, ma anche evitando di sollevare alcuno schizzo. Non solo in entrata, anche in uscita.
Pena la fuga della cacciagione. L’arte della sopravvivenza ha portato a studiare soluzioni tecnologiche di grande valore. Poi la pagaiata silenziosa è frutto anche del movimento di busto, dell’utilizzo prevalente del tronco, anziché delle braccia, soprattutto quando si ha la necessità di macinare miglia. La preda non era sempre sotto casa, cioè igloo.
In conclusione.
Insomma alle origini del nostro sport c’è lo sviluppo di una tecnologia avanzata, che affonda le radici nella preistoria di almeno 30 000 anni fa.
C’è anche la risposta a problemi di sopravvivenza che hanno portato alcuni popoli a vivere in regioni assolutamente inospitali per l’uomo.
Ci sono le credenze religiose sciamaniche che hanno indotto gli Inuit a credere che quel territorio fosse un dono. Da qui è nato il rispetto per la natura, per le risorse disponibili e la volontà spirituale di credere e di ringraziare per le risorse
stesse.
Il vittimismo era messo al bando, un vero e proprio tabù, mentre la creatività è stata la chiave della sopravvivenza.
Non un semplice sport, dunque, ma uno strumento di vita e un dono degli
spiriti.
Articolo scritto da : Fabio Calvino
Laureato in geologia, insegno dal 1995. Sono formatore di insegnanti certificato e riconosciuto dal MIM. Pagaio dal 1993, sono tecnico educatore di kayak da mare in UISP, formatore per la UISP, appassionato di acqua da sempre, di sport di pagaia in ogni loro forma.
Mi piacerebbe diventare una guida riconosciuta in kayak da mare. Scrivo libri di testo scientifici dal 2000 per varie case editrici, attualmente per Principato, mi piacerebbe pubblicare un testo con le mie storie di canoa e montagna per ampliare la coscienza sulla salvaguardia ambientale.