IL MARE & IL KAYAK:
RAPPORTO DI AMICIZIA
Quando non lo vedo mi manca, allora mi chiedo se sarà sereno, imbronciato, calmo, nervoso, arrabbiato, addormentato. Il mare è come un amico che se ne sta là ad aspettarmi. Mi sento colpevole per averlo ignorato per tanti anni, l'acqua salata è stata una scoperta della maturità avanzata.
Sono nato montanaro e ho tentato di diventare marinaio.
So di essere ospite, ho coscienza che forse non sia il mare il mio elemento istintivo, ma vengo da lui accettato con paziente benevolenza in un amore corrisposto. Allora ero a mio agio quando la terra si inclinava, adesso mi si accende qualcosa dentro quando mi stacco da riva.
Oggi è uno di quei giorni che qualcosa dentro non scatta, mente e corpo hanno un dialogo con interferenze non volute.
Con lentezza recupero i vari pezzi del mio vestiario marino, mi lamento per tutta quella roba, ma è un rito preparatorio iniziatico, un momento in cui la mia mente scava dentro all'armadio dei ricordi e ritrova quelle sensazioni che tra poco diventeranno linguaggio di mare e corpo.
Carico lo zaino in spalla e vado dal mio Rockpool Alaw Bach. Ci conosciamo bene, sono dieci anni che viviamo uno nell'altro, che condividiamo momenti irripetibili attraverso luoghi di una bellezza stordente.
Lo stacco dai supporti a muro, lo metto sul carrellino, il ritmo si fa veloce, la voglia di andare incalza... paraspruzzi, pagaia, giubbotto.... e finalmente.... spiaggia! Ci siamo, questione di centimetri, di un passo, un gesto e il corpo si fonde con lo scafo, ci si stacca da riva, insieme si galleggia.
Non cessero' mai di stupirmi quanto sia magico questo attimo, quel movimento abituale dell'imbarco. Da animale terrestre schiavo del mio corpo verticale e del mio peso, adesso sguscio, scivolo, dondolo, beccheggio... sono uomo kayak, mammifero, anfibio, opera viva di chiglia con l'ansia dell'andare.
Seduto nel mio nuovo corpo galleggiante guardo il mare con curiosa meraviglia, lo studio alla ricerca delle sue forme, fiuto i suoi umori, mi dipingo dentro coi suoi colori. I piedi spingono, le braccia danzano, la pagaia morde, il kayak taglia un' ondina maliziosa.
Lo spazio davanti a me parla di infinito, di un chissà dove tutto da scoprire, la falesia da dietro del mondo che precipita in una caduta da vertigine di minerale solido. Le mani si bagnano, toccano l'acqua, la accarezzano, la spingono, entrano nel mare ed escono nell'aria, sensazioni agli antipodi, momenti semplici, banali, ma ogni volta i nervi dicono al cervello qualcosa di unico, magico, speciale.
Mi porto ad una distanza dalla costa dove le onde arrivino senza troppe interferenze, allungate, distese, morbide, potenti.
La navigazione si fa movimentata, lo scafo incassa, il corpo si adatta. Mare liquido e corpo fluido, ogni onda ha una sua geometria, ogni movimento del kayak una sua ragione. La mente cerca di capire in una corsa ad adattarsi in fretta al gioco di chi qui la fa da padrone e comanda.
Ho cercato sempre di imparare le giuste tecniche, per navigare in sicurezza, ma soprattutto per potermi divertire, per lasciare che il mio corpo di terra si fondesse con quei movimenti di acqua. Pagaio sprofondando sempre di più in una diversa dimensione, dove movimento e immagini ubriacano l'anima.
Un ricciolo bianco di schiuma, un guizzo di pesce, una pinna di delfino, un planare di gabbiano, una forma di nuvola, una chiazza di luce.... la bellezza si somma a bellezza.
Andare per mare lo vivo come un privilegio, poterlo fare in kayak è una fortuna, se poi con amici e tenda nel gavone, allora quello è davvero un sogno.
Articolo scritto da:
Antonio Colantuoni